Non emerge un quadro del tutto positivo sull’andamento delle criptovalute secondo il presidente della Consob, Paolo Savona, nel suo discorso in occasione dell’incontro annuale con il mercato finanziario. Anzi, proprio Savona è il primo a lanciare un segnale di pericolo: le criptovalute, sostiene, potrebbero innescare una nuova crisi finanziaria simile alla bolla speculativa del 2008 con rilevanti effetti negativi sulle casse di risparmio e sulla distribuzione del reddito.
Un’affermazione forte, che lascia pensare in un futuro non troppo roseo per l’economia e per le finanze, se non si procede nell’immediato a regolamentare il flusso del denaro virtuale e se non ci si attrezza per contenerne gli effetti.
Criptovalute e recessione: stiamo tornando indietro nel tempo?
La prima cosa che viene in mente, pertanto, è chiedersi cosa c’entri la crisi finanziaria del 2008, che ormai sembra lontana nel tempo sebbene il mondo ha vissuto la sua eco per molto tempo. Sono, infatti, trascorsi tredici anni dalla crisi di liquidità e solvibilità di banche e Stato, dovute alla bolla dei prestiti subprime americani (dove, in altre parole, veniva concesso più credito di quanto fosse realmente sostenibile economicamente, fino a far “scoppiare la bolla” degli insoluti).
Forse, guardando indietro nel tempo, per la prima volta in quegli anni ci siamo resi conto di quanto il mondo sia realmente globalizzato: il crack finanziario-bancario americano ebbe un’enorme risonanza per l’economia mondiale, travolgendo anche l’Europa, con il fallimento di interi Stati e l’inizio di diffusi periodi di austerity e povertà finanziaria.
Viene allora da preoccuparsi se, dopo il duro colpo della congiuntura pandemica, siamo di fronte ad una nuova recessione. Secondo Savona, ci sono parecchie analogie perché
“I nuovi comparti del mercato generati dalla diffusione delle criptovalute sono in rapida evoluzione e sembra ripetersi l’esperienza antecedente la crisi del 2008, quando i contratti derivati si svilupparono fino a raggiungere una dimensione di dieci volte il Pil globale, assumendo forme complesse che ricevettero un rating elevato. Pur con le dovute distinzioni, è prevedibile che stia accadendo qualcosa di analogo nel mercato dei prodotti monetari e finanziari virtuali, soprattutto criptati”.
Ma cosa sta accadendo nello specifico e come influenza il mercato la diffusione delle criptovalute?
“Il mutamento che va interessando il funzionamento del mercato in generale è profondo. La diffusione degli strumenti virtuali ha sollecitato la nascita delle ‘piattaforme tecnologiche’ che consentono modalità di accesso ai servizi di pagamento e di negoziazione in titoli più rapide e meno costose rispetto a quelle offerte dalle banche e dagli altri intermediari. Le funzioni di custodia e scambio da esse inizialmente svolte si sono evolute per accogliere operazioni sempre più articolate e complesse, ivi incluse la concessione di crediti garantiti da propri o altrui strumenti virtuali o la stipula di contratti derivati usando come collateral le cryptocurrency, anche per più operazioni dello stesso tipo. Il fiume ormai in piena degli strumenti virtuali si è articolato in molti e variegati rivoli: Internet, che non è certo la culla delle certezze, attesta che esistono in circolazione dalle 4 alle 5mila cryptocurrency, nelle forme di stable coin, ma in gran parte floating, che operano più o meno indisturbate. Se a esse si applica l’esperienza fatta in poco tempo dalla Consob nell’oscurare in Italia centinaia di siti web che raccoglievano illecitamente risparmio, il quadro che ne risulta appare preoccupante”.
La necessità di regolamentare l’economia virtuale
Il quadro che emerge dalle parole di Savona impone una necessità impellente: quella di procedere con un regolamento, condiviso a livello europeo, sull’utilizzo delle criptovalute. Soprattutto per la ridistribuzione del reddito e per la tenuta economica dei mercati – e del sistema economico così come lo conosciamo – perché risulta ad oggi prevedibile un corto-circuito fra criptovalute e strumenti economici tradizionali.
Secondo quanto prospettato dal Presidente della Consob, potrebbero venir meno i presupposti legali e normativi dell’utilizzo della moneta “fisica” come unico mezzo di scambio riconosciuto. Savona spiega il concetto utilizzando queste parole:
“Sulla base del metro offerto dalla normativa vigente, non è più possibile distinguere, con certezza tecnica e giuridica, in che cosa oggi consistano legalmente la moneta e i prodotti finanziari, un contenuto che si presenta interrelato per la connessione garantita dalle piattaforme di conversione tra strumenti virtuali e tradizionali. Il mercato usa un metro diverso da quello della normativa esistente, che richiede di essere in questa integrato. La creazione via computer di moneta fiduciaria privata offre a chi la effettua, i cosiddetti ‘minatori’, la possibilità di disporre di un potere di acquisto: la funzione redistributrice, propria della democrazia, e quella produttiva-commutativa, propria del mercato, risultano alterate dalla creazione di potere di acquisto digitalizzato, ancor più se collocato in una contabilità perfettamente decentrata”.
Il pericolo, pertanto, riguarda anche la trasparenza del mercato e il rating di legalità delle azioni proposte. Non sempre, infatti, dietro le transazioni in criptovalute si celano azioni lecite. Il problema è molto sentito: non molto tempo fa, ad esempio, in Turchia il Governo Erdogan ha predisposto regole più aspre contro l’uso non regolamentato che – complice la crisi economica dovuta alla pandemia – molti ne stavano facendo nel Paese eurasiatico, allineandosi alla linea dura della Cina e dell’India.
“Tra gli effetti negativi ben conosciuti vi è la schermatura che queste tecniche consentono ad attività criminali, come l’evasione fiscale, il riciclaggio di denaro sporco, il finanziamento del terrorismo e il sequestro di persone. La concentrazione nel possesso di Bitcoin che è stata recentemente accertata può riflettere questo aspetto del problema. La Bce ha proposto la creazione di una Cbdc, Central Bank Digital Currency (o cryptoeuro), spostando la sua attuazione avanti nel tempo. La Commissione europea ha avanzato una Strategia per la finanza digitale, sottoponendola all’esame del Parlamento e aprendo un’ampia consultazione tra operatori”
Non sembra però bastare, soprattutto perché Enti e consultazioni allungherebbero di molto i tempi di intervento in materia:
“Se la regolamentazione si limitasse a mettere sabbia nel meccanismo e, come ampiamente si discute, appagarsi nel tassare i guadagni ottenuti, la conseguenza potrebbe essere la continuazione della loro diffusione che potrebbe sfociare in una nuova crisi di mercato. Se così accadesse, la responsabilità per le conseguenze patite dai risparmiatori potrebbe ricadere sullo Stato, come già accaduto in passato, a causa della legittimazione silente o palese della loro esistenza e la coscienza che attraverso le innovazioni finanziarie si possono realizzare manipolazioni del mercato”.