Italia, debiti alti e bassa produttività. Il rapporto UE

Secondo la Commissione EU l'Italia è un Paese vulnerabile perché soggetto a squilibri eccessivi sotto il profilo macro economico e socio economico

Non arrivano buone notizie per l’Italia secondo il rapporto semestrale della Commissione Europea: l’Italia, scrivono, è un Paese vulnerabile perché soggetto a squilibri eccessivi sotto il profilo macro economico e socio economico. In particolare, l’Europa indica come alert l’eccessivo ed elevato debito pubblico che, unito ad un rallentamento delle dinamiche produttive a causa della congiuntura pandemica, si riversa drammaticamente sul mercato del lavoro e del settore bancario, moltiplicando gli squilibri, le fragilità e le vulnerabilità.

Le considerazioni dell’Unione Europea vogliono indicare per l’Italia una strada per la ripresa che, ad oggi, sembra essere su una strada sempre più in salita: in rapporto al PIL, il nostro debito pubblico è aumentato in modo netto e, secondo le previsioni, calerà soltanto a partire dal prossimo anno quando – si spera – avremmo assorbito il colpo della pandemia e delle chiusure.

Italia, il quadro critico

Il quadro critico dell’Italia non è solo relativo alla produzione, ma anche (e di conseguenza) al mercato del lavoro: prima di addentrarci nelle valutazioni economiche, la Commissione Europea ha ritenuto controproducente il totale blocco dei licenziamenti adottato dall’Italia. Sebbene possa sembrare un’affermazione forte, questa va inserita in una previsione di sviluppo più ampia: secondo l’Europa, infatti, potrebbe essere controproducente perché rischia di bloccare del tutto il mercato del lavoro e ostacolare il “necessario aggiustamento della forza lavoro a livello di imprese, a detrimento degli occupati a tempo determinato e degli stagionali”.

Lo scrivono i tecnici della Dg Ecfin della Commissione Europea, nel documento di lavoro che accompagna la proposta di raccomandazione al Consiglio per l’Italia. Altri Paesi come la Germania e la Francia, nota la Dg Ecfin, “sono riusciti a contenere l’impatto sul mercato del lavoro senza ricorrere a misure restrittive come un divieto generalizzato di licenziamento”.

Aprendo una piccola parentesi, bisognerebbe ricordare all’Europa, in questo contesto, che altri Paesi come la Germania e la Francia hanno anche un sistema di ammortizzatori sociali, di politiche di inserimento al lavoro e di welfare in parte differenti da quelle nostrane e, soprattutto, con un tasso medio di disoccupazione diverso da quello italiano: secondo il rapporto 2020 Eurostat,

in Italia la disoccupazione a gennaio 2010 è stabile al 9,8%, ma si conferma essere il terzo tasso più alto in Europa dopo Grecia (16,5% a novembre 2019) e Spagna (13,7%). Situazione analoga per la disoccupazione giovanile: Grecia (36,1% a novembre 2019), Spagna (30,6%) e Italia (29,3%). 

Nello stesso periodo, in Germania il tasso di disoccupazione è fisso al 6% e in Francia all’8%. Questo vorrà pur dire qualcosa in termini di processi macroeconomici, produttività e PIL.

Mal comune, mezzo gaudio?

Tornando al quadro macroeconomico, le indicazioni dell’Europa e le relative preoccupazioni vanno a sottolineare che, sebbene la produttività del lavoro sia in trend positivo di crescita nel 2020, a lungo termine resta come “ostacolata” da “barriere agli investimenti pubblici e privati e da limiti alla crescita delle imprese più produttive“.

I tassi di attività e occupazione “restano inferiori alla media Ue“, sottolinea ancora la Commissione, e la crescita della produttività, “molto fiacca”, insieme ai bassi tassi di occupazione, “danneggia la crescita potenziale”, cosa che a sua volta “ostacola il processo di riduzione del debito“. Per quanto riguarda le banche italiane, benché si siano “rafforzate” negli anni precedenti la pandemia, restano segnate da “punti deboli“. In particolare, i crediti deteriorati “sono calati negli ultimi anni“, ma “sono ancora relativamente elevati” e “rischiano di aumentare, una volta che le misure temporanee di sostegno verranno gradualmente rimosse”.

Nel quadro appena delineato, però, non è tutto perduto: 24 Paesi membri dell’Unione Europea sui 27 complessivi, quindi tutti tranne Bulgaria, Danimarca e Svezia, violano il criterio del deficit, a causa della congiuntura pandemica che ha spinto gli Stati a sostenere le rispettive economie per evitare di aggiungere una diaspora sociale alla crisi sanitaria.

L’Italia è tra i Paesi che violano sia le soglie di deficit che quelle di debito, ma non è sola: sono 13 i Paesi (Belgio, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Italia, Cipro, Ungheria, Austria, Portogallo, Slovenia e Finlandia) che violano anche la regola del debito. Ovviamente, la Commissione “ritiene che una decisione sul porre i Paesi in procedura per deficit eccessivo non debba essere presa”. La Romania, che era già sotto procedura e che sarebbe dovuta rientrare nelle soglie di deficit entro il 2022, dovrà farlo entro il 2024.

Nel complesso, quindi, Grecia, Cipro e Italia presentano squilibri eccessivi e preoccupanti sotto il profilo macroeconomico, mentre in Croazia, Francia, Germania, Irlanda, Olanda, Portogallo, Romania, Spagna e Svezia si registra solo una situazione di “squilibrio“. Secondo l’Unione Europea,

i Paesi con un debito pubblico elevato come Italia e Portogallo nel 2022 dovrebbero fare “investimenti aggiuntivi”, pur perseguendo una “politica di bilancio prudente”, e contemporaneamente “limitare la crescita della spesa corrente finanziata a livello nazionale“.

Gli Stati membri, infine, dovrebbero evitare di ritirare prematuramente i sostegni all’economia e fare pieno uso della Recovery and Resilience Facility. Questo aiuterà a sostenere la ripresa economica, a rafforzare la crescita potenziale e l’occupazione, ridurre gli squilibri e migliorare le finanze pubbliche. Speriamo di farcela.

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