Un laboratorio di 45 piedi capace di solcare le onde frutto di oltre 15 anni in cui Fabio Siniscalchi, leader della onlus Oceanus, ha navigato con l’obiettivo di salvare i mari e chi li abita. In un momento storico in cui la tutela del Pianeta non solo è impellente ma improcrastinabile, questo floating lab verrà bagnato nel nostro Mediterraneo con l’obiettivo di censire i mammiferi marini, monitorare i nostri mari e contribuire alla salvaguardia degli stessi. I dati raccolti saranno condivisi con Enti e dipartimenti universitari con cui collabora Oceanus, un vero e proprio “network internazionale di gente di mare” che, all’insegna della solidarietà marinaresca, dal 2011 ad oggi abbina alla tutela delle acque del Pianeta iniziative solidali in tutto il mondo. Del resto, come spiega lo stesso Siniscalchi “Chi sceglie il mare presto si rende conto di far parte di una tribù a cui non deve spiegare il perché della propria passione“.
Siniscalchi, brevemente può spiegarci cosa è Oceanus e in che modo persegue l’impegno di salvaguardare i nostri mari?
“Oceanus è nata in barca, non poteva che nascere per mare. Nel 2004 partecipai ad una spedizione, su un 43 piedi a vela, che da Atene a Capo Verde censiva distribuzione e abbondanza di cetacei lungo la rotta. Nel 2005, nel lungo viaggio di rientro, veleggiammo sulle Azzorre per poi rientrare a Gibilterra e navigare per buona parte del Mediterraneo fino a raggiungere Atene. Oceanus nasce lungo queste tratte mediterranee e oceaniche. Pianificare l’organizzazione e i progetti fu di compagnia, soprattutto nelle notti al timone. Strategie, equipaggio, università da coinvolgere, strumenti nuovi da realizzare. Rientrato in Italia, dove era tutto pronto e come se dovessi scegliere il nome di una barca, fondai Oceanus. Moltissime le miglia navigate, molti i censimenti di mammiferi marini portati a termine in pochi anni, durante i quali il gruppo di Oceanus ha raccolto più dati scientifici al mondo sulla distribuzione e abbondanza di delfini e balene. Tanti in questi anni gli incontri: molti degli skipper, biologi e subacquei incontrati in questo lungo percorso oggi fanno parte di Oceanus“.
State ultimando i lavori del prossimo catamarano di 45 piedi, ma lo avete rinominato “floating lab“. Che significa?
“Speriamo di poter bagnare presto questa nuova imbarcazione, un catamarano a vela di 45 piedi un ufficio e laboratorio galleggiante, motorizzato Volvo Penta che, insieme a Selden Mast e Raymarine ha creduto nel progetto. Giriamo in catamarano a vela da sempre, conosciamo molto bene prestazioni e abitabilità dei principali cantieri navali, per questo realizzare un catamarano funzionale alla nostra attività è stato più facile che adattarne uno già in commercio. La barca sarà impiegata per i nostri progetti di monitoraggio ambientale i cui dati saranno condivisi con Enti e dipartimenti universitari. A bordo volontari da tutto il mondo saranno impegnati in progetti di monitoraggio e salvaguardia ambientale e censimenti di mammiferi marini. Molta attenzione sarà data anche a siti archeologici subacquei in Sud Italia, Grecia e Turchia; la barca sarà attrezzata per consentire immersioni in autonomia, stiamo valutando anche l’utilizzo di un drone subacqueo. Come sempre i dati saranno condivisi con Enti e dipartimenti universitari con cui collaboro da anni. Questa barca era nell’aria da tempo, quasi una necessità ed arriva a 15 anni dal primo progetto, dalla prima spedizione, Atene – Capo Verde – Atene e sono sicuro sarà palcoscenico di nuove avventure per i prossimi anni a venire”.
Non solo ambiente ma anche cultura e conoscenza, ne è testimonianza il prossimo progetto Megale Hellas con cui intendete “unire i popoli del Mediterraneo” riscoprendo le rotte marittime degli antichi greci. In che modo?
“Un tributo ai grandi navigatori del passato, ma soprattutto un tributo agli uomini e donne contemporanei protagonisti e custodi del patrimonio culturale materiale e immateriale e della tradizione delle nostre città della Grande Grecia italiana, una rete internazionale per la riscoperta delle comuni radici storiche e identitarie di Grecia e sud Italia. Mi affiderò a loro per tracciare le rotte del passato e costruire insieme un nuovo risveglio di appartenenza e orgoglio identitario”.
Negli ultimi mesi è tornato prepotentemente alla ribalta – e fortunatamente, ci verrebbe da dire, il tema della tutela del mare. Un po’ perché siamo rimasti estasiati dalla risposta del nostro Mediterraneo mentre l’uomo era chiuso in casa causa Covid, un po’ perché l’attenzione sulle tematiche ambientali è cresciuta grazie anche all’onda verde che ha investito il Pianeta e ha visto protagonisti i giovani. Come si promuove la sostenibilità ambientale nel vivere il mare e navigarlo in questo periodo storico?
“Bastarono, all’inizio del lockdown, poche settimane al nostro mare per mostrarsi in tutta la sua semplice magnificenza. L’operosità degli esseri umani d’improvviso ferma, sospesa, ci ha costretti al ruolo di testimoni del Creato che pian piano ha provato a riconquistare gli spazi sottratti, vilipesi, rivelandosi quasi come presenza fisica a cui abbiamo concesso un lungo respiro. Se c’è qualcosa da salvare in questa terribile pandemia è una nuova consapevolezza che deve accelerare processi innovativi e modelli ecosostenibili di vita sul Pianeta. Credo sia necessario, dunque, promuove e assecondare nuove visioni e capacità in grado di rinaturalizzare l’ambiente, renderlo armonico con le attività antropiche ridisegnando quartieri e verde urbano, creando ciclovie, proponendo nuovi modelli culturali non più del possesso, ma della condivisione degli oggetti, del tempo, del sapere. Tutto questo non può che giovare all’economia, rigenerarla. Basti pensare al mercato della biciletta che in Italia muove quasi 12 miliardi di euro. In Europa l’economia della bicicletta arriva ad un valore complessivo di oltre 510 miliardi di euro. Usare meno l’auto o non averla del tutto, immaginare città in cui potersi spostere solo con veicoli condivisi è un’idea, uno stile di vita, che può non piacere a parte del mercato, ed è questo il pericolo: non vedere premiate le idee migliori e risolutive per tutti, ma solo le più vantaggiose per alcuni”.
Come sta il nostro Mediterraneo oggi?
“Gli stock ittici risultano impoveriti di oltre il 70% e la piccola pesca artigianale è in grande difficoltà. Per di più, paradossalmente, spesso la metà di tutto il pescato si rivela inutile e infruttuoso per il mercato, tanto da essere rigettato, morto, di nuovo in mare. Di circa 700 specie commestibili finiscono sulle nostre tavole solo una decina. Tutto questo inaccettabile spreco è la conseguenza di più fattori, come i sistemi di pesca non selettiva, le quote che i pescatori sono tenuti a rispettare e, soprattutto, un mercato miope che condanna o esalta determinate specie. Il nostro mare sembra essere condannato a un inesorabile impoverimento degli stock ittici e, quel che è più grave, alla compromissione dell’intero ecosistema marino. Per questo è un obbligo tutelare la pesca tradizionale e con essa il turismo sostenibile, in tutti i mari del Pianeta”.
Cosa si sta facendo e cosa c’è da fare per preservarlo?
“Con Oceanus abbiamo diverse campagne di sensibilizzazione contro l’inquinamento che possano accrescere la consapevolezza dei cittadini come ‘Una ricetta per salvare il mare‘ che accompagna il consumatore alla scoperta della stagionalità del pescato, in modo da incentivare il consumo di pesce locale e promuovere i punti di prima vendita sul territorio, gestiti direttamente dai pescatori. In generale si consiglia di acquistare sempre pesci dal ciclo vitale breve, perché le loro carni non hanno il tempo di assorbire metalli pesanti. Più in generale, la campagna mira a promuovere e riportare in auge le specie meno note, ma comuni, e soprattutto gustose e di gran lunga più economiche e salutari come spigolette, palamita, zerro, pagello, acciughe, lampuga, aguglie, sardine, tinche etc. Per fare questo abbiamo invitato a proporre e segnalarci vecchie ricette, poco note o dimenticate, a base di Pesce Azzurro o altre specie meno popolari poiché molte di esse, comuni nei nostri mari, protagoniste della tradizionale Cucina Mediterranea, sono oggi cadute nell’anonimato. Inoltre lavoriamo per implementare i nostri progetti in itinere di rinaturalizzazione ambientale capaci di rinaturalizzare il mare ripopolandolo di flora e fauna”.
In che modo l’innovazione tecnologica ci aiuta a perseguire questa missione?
“In questo momento è in atto un cambiamento epocale che è percepito in maniera diversa nei vari Paesi del mondo. Stiamo assistendo, anzi siamo parte, di una fase evolutiva del genere umano sulla Terra, chiamata a riprogettare l’intero modo di vivere, spostarsi, nutrirsi ed immaginare il futuro dei nostri figli e nipoti; forse è questa la presa di coscienza, la responsabilità più importante, diventare una generazione che lavorerà a soluzioni nuove i cui benefici non è detto riuscirà a goderne. In particolare con Oceanus lavoriamo a questo processo attraverso campagne di sensibilizzazione, progetti di salvaguardia, monitoraggio e innovazione”.
Un esempio concreto?
“Fra le attività oggi in itinere abbiamo un progetto di rinaturalizzazione ambientale in Sardegna, finanziato con fondi europei capace, grazie a dei moduli soffolti, di rigenerare l’habitat ripopolandolo, grazie ad un effetto nursery che assicura riparo e protezione tanto alla deposizione delle uova, quanto ai primi stadi giovanili in cui i pesci e cefalopodi, se allo scoperto, diventerebbero facili prede; questo sistema di barriere soffolte è capace inoltre di ridurre la forza cinetica dell’onda, e dunque la sua azione erosiva sulla spiaggia”.