Manichini innovativi, azienda cinese copia l’italiana Bonaveri. E chiede pubblicamente scusa

“Scusate se vi abbiamo copiato”. Azienda cinese condannata a pubbliche scuse verso l’italiana Bonaveri per aver copiato i suoi manichini

Che un’azienda estera, in questo caso cinese, possa copiare il design e la creatività italiana, non è una grossa novità. Ma che un tribunale cinese condanni l’impresa non solo a risarcire il danno, ma anche a chiedere pubblicamente scusa è sicuramente una notizia. Anzi un’ottima notizia per il Made in Italy.

È quello che è successo alla Ellassay, fashion company cinese quotata alla borsa di Shanghai, che nei giorni scorsi ha pubblicato a sue spese sul giornale economico Shenzhen Economy Daily le scuse all’italiana Bonaveri per aver copiato uno dei suoi manichini.

Manichini copiati, non è la prima volta

La controversia riguarda la collezione di manichini Aloof della Bonaveri, ditta ferrarese che dal 1950 produce manichini di altissima gamma, non solo dal punto di vista estetico, ma anche in termini di innovazione e sostenibilità, per l’alta moda.

La Bonaveri presenta la nuova linea di prodotti nel 2014, prima in una fiera in Germania e poi in una serie di roadshow in giro per il mondo. Alla tappa di Hong Kong, tra gli invitati c’è anche la cinese Ellassay che però non compra i manichini italiani. Un anno dopo, nelle vetrine dei negozi della Ellassay (che sono più di 300) compaiono però manichini molto simili a quelli della Bonaveri e l’azienda cinese ne rivendica anche il copyright.

Agli italiani non resta che affidarsi a un team legale guidato dall’avvocato Giovanni Pisacane. “Quando il giudice della Corte del Popolo di Shenzhen ha chiesto di dimostrare il processo creativo dietro ai manichini – spiega Andrea Bonaveri, ceo dell’omonima ditta, che FMAG ha raggiunto telefonicamente – noi ci siamo presentati con 5 faldoni da quindici chili ciascuno, con foto, schizzi e disegni. Loro con una cartelletta con pochi fogli. A quel punto chi aveva copiato chi è stato facile da stabilire”.

Bonaveri che oramai è un veterano della difesa del copyright (questa è la terza causa vinta in Cina per la contraffazione dei suoi prodotti) non nasconde la sua soddisfazione, ma anche un po’ di amarezza.

È stata la vittoria della formichina contro l’elefante. Noi siamo un’eccellenza storica e radicata, ma siamo una PMI. Dall’altro lato c’era un gigante e la giustizia ha trionfato. Il risarcimento, per i parametri cinesi, è stato corposo. Ci hanno dato 50 mila euro, che è circa la stessa cifra ottenuta qualche anno fa dalla Ferrero da un’azienda che ne aveva copiato i Ferrero Rocher. Segno che il vento in Cina sta definitivamente cambiando e che il paese si sta dando uno stand internazionale, perseguendo anche in patria chi copia e non proteggendo più le aziende che lo fanno”.

Infine conclude un po’ amaro: “Purtroppo abbiamo dovuto fare tutto da soli. Tante aziende italiane vengono copiate in Cina e magari non hanno la forza o le risorse per ottenere giustizia. Basterebbe che l’Italia rafforzasse o integrasse un servizio di protezione del Copyright nei tanti uffici ICE (Istituto del Commercio Estero ndr) sparsi per il mondo. Sarebbe un grande servizio reso al Paese e alla sua immensa creatività”.

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