Internet, trojan e diritto penale: la parola a Von Arx

L'utilizzo di internet, dei trojan e delle nuove tecnologie cambia il diritto: ecco come

«È mancato un serio dibattito sull’utilizzo dei trojan nelle indagini sui procedimenti penali. Una novità legislativa che non nasconde pericoli per la tutela della privacy e di cui si è discusso poco». A dirlo è il penalista napoletano Enrico Von Arx che si è occupato proprio dell’introduzione dei trojan nelle indagini sui procedimenti penali all’interno del libro “Manuale di diritto di internet”, curato da Fabrizio Corona (solo omonimo del “fotografo dei vip”) e Michele Iaselli. Un’opera che vede la collaborazione di diversi studiosi che approfondisce il rapporto tra il diritto e le nuove tecnologie.

Avvocato, nel suo contributo per il “Manuale di diritto di internet” si è occupato dell’importante novità legislativa legata all’uso dei trojan. Di cosa si tratta?


«Si tratta di uno sviluppo, apportato dal legislatore, di enorme portata. Per comprendere bene la novità, è importante spiegare in poche parole cosa sono i trojan. Si tratta di semplici file introdotti sui dispositivi che utilizziamo quotidianamente, a partire dagli smartphone, che permettono l’accesso e il controllo del dispositivo stesso. Applicato su uno smartphone, significa avere un microfono e una telecamera sempre attivi sul “target”. Fino all’inizio del 2020 l’utilizzo di questo metodo di intercettazione era consentito solo per le indagini riguardanti terrorismo e criminalità organizzata. La novità legislativa, invece, allarga l’utilizzo dei trojan anche per i reati contro la pubblica amministrazione, come corruzione, concussione o abuso d’ufficio».

Quali rischi comporta l’uso di questo metodo anche per questo tipo di reati?


«C’è un serio rischio per la tutela della privacy dei cittadini. Per quanto riguarda le indagini sulle mafie e sul terrorismo, è un rischio che è sacrosanto correre, perchè è fondamentale prevenirle. Allargarne l’uso ad altri contesti è più discutibile. Questi strumenti accendono una telecamera sull’intera sfera personale dell’indagato. Ma non solo. Si entra nella sfera personale anche di tutte le persone che sono entrano in contatto con l’indagato ma magari non hanno nulla a che vedere con l’indagine in corso».

Insomma, una novità di un certo peso. Eppure sembra essere passata un po’ in sordina.


«Assolutamente sì. È mancato un serio dibattito su questo aspetto, lo dice anche l’unione camere penali. La normativa è entrata in vigore durante il primo lockdown, quando i cittadini avevano la testa rivolta ai problemi della pandemia a cui ci stavamo appena approcciando. Forse questo ha influito. Di fatto, comunque, è mancato un dibattito serio sul problema».

Lei sembra contrario a questa introduzione.


«Il Governo si è completamente “schiacciato” sulle Procure. L’allora ministro della Giustizia Bonafede ha assecondato alcune richieste perchè i reati contro la pa sono visti come il male assoluto. In quest’ottica, però, si è probabilmente persa di vista la tutela della privacy».

Eppure le nuove tecnologie potrebbero aiutare e molto la giustizia.


«L’innovazione e la tecnologa sono elementi fondamentali nelle indagini degli ultimi anni. La stragrande maggioranza dei procedimenti penali è basato sulle intercettazioni. Ed è giusto che le nuove risorse vengano utilizzate per la repressione dei reati. C’è bisogno, però, di un equo bilanciamento per i diritti di tutti».

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